Sognando la Focus
Correva l’anno 2003 e gli Eiffel 65 pompavano nelle casse sgangherate del mio vecchio Compaq, fisso dallo schermo squadrato: Pentium III girava a tutto spiano, la Ram fumava come un diesel d’altri tempi, Direct X9 continuava a non rispondere e Windows XP macinava chilometri sulla cresta dell’onda. Sembra l’inizio di un blog su “Come Installare Windows XP sul vostro Ipad”, ma ai duri del mestiere che hanno vissuto assieme a me il disagio di quei tempi suonerà familiare tutto questo: stavo installando un maledetto videogioco, ma non uno qualunque; bensì quello
bello e sporco che aveva una Focus Rs Martini in derapata come copertina.
Parto da qui, dalla tappa iniziale di Colin McRae Rally 3, a Llangurig, un paesino sperduto ad Est del Galles, dove la luce rossa sta per diventare verde e io accelero come un drago tenendo
premuto il tasto A della tastiera e fingendo d’impugnare un grosso freno a mano, gentilmente offerto dal Mocio Vileda di mia madre. Pochi si ricorderanno l’urlo indemoniato e distorto di quella Focus incazzata che pattinava e aspirava come una forsennata; beh, quei pochi umani sono degli eroi. “6, lunga a destra; 6, lunga a sinistra; 30; 6, sinistra stretta; 150.”, in sesta piena a limitatore, a 190 orari in mezzo alle case di mattoni color fango con i serramenti bianco latte; “Attenzione, chicane tra le balle di fieno!” e sono già ribaltato sul tetto saltando le siepi, in mezzo alle radure Gallesi.
Era questo quello che ci divertiva: guidare a chiodo per le strade di quello che può sembrare un
comunissimo paesino di provincia, a bordo di una noiosa berlina di segmento C trasformata in un
drago sputa fuoco che non sta dritta neanche se la preghi in cinese. Avevo 14 anni e, per fortuna, i ribaltamenti virtuali erano gratuiti e senza conseguenze permanenti.
Arriva quel giorno e decidi la tua sorte. Ricerchi l’auto veloce e incazzata che ti ha sempre fatto sognare, pittata di quel Performance Blue metallizzato, coi parafanghi allargati, gli OZ a stella da 18’, gli Sparco di pelle con la doppia striscia blu pure sui posteriori, leva e pomello cambio cromati, uno scarico che ci puoi infilare il braccio palestrato di tuo cugino Gaetano e quel Duratec 5 cilindri a doppio albero a camme in testa con la turbina Garret maggiorata e i 212 cavalli dichiarati. Ma i soldi ti bastano davvero? Non fare cavolate che poi lo sai come va a finire, meglio un mezzo più “nuovo”. Dove lo trovo un altro 5 cilindri incazzato così, nel 2010? Non è appena uscita la nuova bestia nera marchiata Ford? 350 cv, 2.5 litri di derivazione Volvo: un B5254T4 pompato a dismisura con 460 Nm di coppia, più di 260 chilometri orari dichiarati e un’ala posteriore che fa piangere i tavolini da pic-nic del parco del Ticino. 41.500 € chiavi in mano? No, forse non ci siamo; forse bisogna aspettare ancora un attimo e rimettere il sogno nel cassetto.
Passa qualche anno e mi sento finalmente cresciuto, responsabile; ho bisogno di un mezzo all’altezza del mio nuovo tran-tran lavorativo e che non consumi troppo, dai. Cerco nel mondo dei leasing e delle brochure lucide tanto da sembrar di marmo ed in mezzo al parco aziendale la trovo: un proiettile, un siluro su quattro ruote, sembra tagliar l’aria già da ferma nell’autosalone, di quel nero pece che mi ricorda tanto quella bestia di Satana di qualche anno fa e il cinque cilindri, quel numero magico che mi ha accompagnato fino ad ora. Stacco il finanziamento ed esco in strada, fiero del design scandinavo e quel “Volvo” sulla griglia frontale che mi ricorda i 350 cavalli che non mi sono potuto permettere tempo fa. C’è solo un problema: sotto al cofano ci hanno messo un 2.0 a gasolio da neanche 200 cv. Ora però sono adulto e responsabile; giuro, la lascio originale, così com’è…. seh, ma a chi la voglio dare a bere?
Anche oggi, il leasing lo si paga domani.
Il tempo passa, ma ancora non si dorme tranquilli la notte. Quel rantolo distorto ed incazzato al ritmo della drum’n bass di tanti anni fa continua a risuonare nella capoccia e bisogna porre rimedio a questo desiderio infernale. La cara Volvo ha macinato talmente tanti chilometri da aver fatto il giro del mondo quattro volte, il leasing è finalmente estinto e posso pensare alla mia crisi di mezza età molto anticipata sulla tabella di marcia. Butto dentro due marce alla volta e torno in quell’autosalone là, dove quella pantera alata mi guardava fissa tempo addietro e non la trovo più, svanita nel nulla e rimpiazzata da un’enorme arancia meccanica che brilla di luce propria. La guardo e la riguardo, apro la portiera e sento il profumo di nuovo; quello strano odore che da piccolo mi ricordava il gelato alla fragola (vai a capirne il perché), ma stavolta la fragranza sa di terre del sud e pelle nuova di zecca. La brochure recita nella scala dei colori: Orange Fury, 2.3 L Ecoboost 280 cv, 4 cilindri. Dov’è finito il mio quinto cilindro? Lo rivoglio indietro! Sono confuso, ma mi voglio fidare, sento che è finalmente arrivato il momento di vivere quel sogno sepolto nel cassetto e quasi dimenticato.
La benzina si shakera assieme alla terra bagnata dalla prima umidità della sera; il tramonto
accende il colore del sole sul cofano e in un attimo ti ritrovi di nuovo in Galles.
Tornando a quei giorni di gloria sulla tastiera e al pensiero della vecchia scheda madre Intel buttata nello scatolone in garage ripensi che alla fine vale davvero la pena poter vivere i nostri sogni, a qualunque prezzo. Per tutto il resto c’è il banco prova e una bella mappatura che ti aspetta; d’altronde, cosa saranno mai più di 300 cv su di una trazione anteriore?
Articolo liberamente ispirato alla storia di Fabrizio Cirielli, proprietario dell’auto.
Fotografia a cura di Giorgio Saba.
Ottobre 1989, nato sbattendo la testa sul cofano di una vecchia Golf: da quel giorno, la passione per quattro e due ruote divenne la mia grande croce che tutt’ora porto con grande orgoglio e che ancora non mi fa dormire la notte. Guido una Mini che si rompe sempre e con lei racconto e scrivo un sacco di storie, ma ha anche dei difetti e ogni tanto la devo anche lavare.
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